Fratta Polesine
Villa Badoer
Stemma e Bandiera
Fratta Polesine - Stemma
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Fratta Polesine - Bandiera
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Fratta Polesine
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Fratta Polesine è una città del Polesine.

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Architetture religiose

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  • Chiesa di San Francesco. Esistente sin dagli inizi del XVI secolo, la chiesa, originariamente dedicata a S. Maria Assunta, costituisce un ampliamento di una precedente chiesa risalente agli inizi del 1100, sede della Confraternita dei Battuti Bianchi, in quanto portavano una cappa di stoffa bianca, calata sul volto. Luogo privilegiato per le riunioni delle confraternite del S. Rosario e del Cordone di S. Francesco. I frati minori della Provincia del Santo di Padova ressero questa fabbrica, che intitolarono a S. Francesco, dal 1501 fino al 17 settembre 1656, anno in cui il conventino fu soppresso dalla Serenissima. In una cripta sotto l'altare di destra sono conservate le spoglie del letterato, matematico e scrittore cavalier Giovanni Maria Bonardo, vissuto a Fratta nella seconda metà del Cinquecento, fondatore dell'Accademia dei Pastori Frattegiani. Tra le opere di pregio contenute all'interno sono da ricordare il bellissimo e artistico altare ligneo centrale, attribuito al rodigino Caracchio, la pala dell'Assunta al centro dell'altare, attribuita al Maffei. Attualmente nella Chiesa, oltre alle cerimonie religiose, si tengono periodicamente concerti di musica sacra, importanti mostre e convegni.
  • 45.02973611.6473421 Chiesa dei Santi Pietro e Paolo. Chiesa arcipretale parrocchiale eretta nell'area di una chiesa già esistente nel 1123, su disegni di Zuane Bellettato, nel 1552. Fu terminata nel 1682, come risulta da una lapide nella sua facciata. L'interno, armonicamente settecentesco, è adorno di affreschi tiepoleschi di Francesco Zugno, di ricchi lavori di intaglio e di importanti sculture veneziane del settecento. Possiede inoltre un prezioso baldacchino e ricchi paramenti. Tra le opere più interessanti vi sono: gli affreschi del soffitto di Francesco Zugno; le stazioni della via Crucis probabilmente dello stesso Zugno, trafugate nella notte tra l'11 e il 12 febbraio 1999, sono ora sostituite con le tele dell'artista frattense Gianpiero Callegari; la bussola della porta maggiore con angeli, fregi, emblemi e simboli, attribuita ad Andrea Brustolon; le statue marmoree di San Domenico e Santa Teresa (1738) di Giovanni Marchiori; San Benedetto e Santa Scolastica di Giovanni M. Morlaiter; i due grandi cherubini che adornano l'altar maggiore sono di Pietro Baratta e Marino Groppelli; tutte le statue delle pareti attorno alla chiesa (1743) (esclusa quella di San Giovanni Bosco) sono di Tommaso Bonazza; il baldacchino volante (1783) è lavoro d'intaglio di Sante Baseggio; il pulpito con la bella scena di Gesù fra i Dottori 1859) - la cantoria dell'organo, con colonne, capitelli, putti, emblemi - il parapetto dell'altare dei Santi Quaranta Martiri, sono preziose opere di intaglio dorato di Luigi Voltolini da Lendinara. Vi sono inoltre alcune tele, di buoni autori, tra le quali: la Nascita di Gesù e l'Adorazione dei Magi di Mattia Bortoloni. la Circoncisione di Ippolito Scarsella; la Pala di San Nicola di Bari di Giovanni Battista Buratto; l'Estasi di sant'Antonio di Pietro Liberi; la Pala dei Santi Quaranta Martiri di ignoto autore ferrarese. La casa canonica, costruita nel 1716 e la sua architettura è riconducibile agli schemi tipici delle case dominicali dello stesso periodo presenti sul territorio frattense. La casa si eleva su due piani, più un sottotetto e una cantina interrata. La pianta è tripartita, con sala centrale passante. Il fronte meridionale presenta un portale al piano nobile ornato da un fastigio orizzontale e provvisto di un balcone con parapetto in ferro battuto; due pinnacoli sulla copertura evidenziano il settore centrale. Tali elementi sono assenti sul fronte settentrionale, provvisto di un balcone con balaustra in pietra e di due camini aggettanti. Le facciate trovano conclusione in un cornicione modanato. La casa presenta notevoli similitudini architettoniche con il vicino Palazzo Monti, che insieme racchiudono al centro la Chiesa parrocchiale. Chiesa dei Santi Pietro e Paolo (Fratta Polesine) su Wikipedia chiesa dei Santi Pietro e Paolo (Q55162257) su Wikidata
  • Chiesa di San Bartolomeo. Della chiesa rimane, come ultimo vestigio, una lapide rosata con un'iscrizione e lo stemma del fondatore. Le fondamenta dell'edificio furono poste il 6 agosto 1338. Sorse per iniziativa di un'influente personalità della corte estense, Riccobono Gonfalonieri da Brescia. Fu il carattere privato del luogo di culto ad accelerarne la decadenza, peraltro già iniziata nel XVI secolo, e la successiva scomparsa. Questa lapide è attualmente la più significativa testimonianza di epoca medioevale presente a Fratta.
  • 45.00177611.6191612 Chiesa della Beata Vergine Maria del Rosario (Chiesa parrocchiale di Paolino). La storia dell'oratorio di Santa Maria del Rosario di Paolino va di pari passo con quella della Villa Corner, poi Bellettato. Risulta presente già nel 1552, quando il Conte Marcantonio Cornaro abitava la villa e disponeva, fra i suoi beni, anche dell'oratorio privato. Il complesso è situato in prossimità del Canalbianco, all'estremo sud del territorio comunale di Fratta Polesine, e rappresenta lo sforzo costruttivo della famiglia Corner lungo il Canalbianco completato da una seconda "Cà Cornera" in località Zaffarda, "La Palazzina" in località Cà Moro di S.Bellino e, a Canda, Villa "Nani Mocenigo". Il servizio religioso presso l'oratorio della villa è confermato fin dal 1765 con un sacerdote stabile, al cui mantenimento provvedevano i Nobili Corner. Nel 1842 cambia di proprietà, passando ai Crestani e da questi ai fratelli Tasso, con i quali conosce una fase di abbandono. Solo col nuovo proprietario Leopoldo Maragno, nel 1885, nell'oratorio ritorna il culto alla Beata Vergine del Rosario. I figli, nel 1956, cedono l'oratorio al Vescovo di Adria e Rovigo per la nuova Parrocchia. Chiesa della Beata Vergine Maria del Rosario (Fratta Polesine) su Wikipedia chiesa della Beata Vergine Maria del Rosario (Q120173930) su Wikidata

Architetture civili

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  •  unesco 45.03035311.6398613 Villa Badoer (La Badoera), Via Torquato Tasso 3 (A 1 km a sud dalla stazione ferroviaria). info e orari. È la villa di Palladio posta geograficamente più a sud. Progettata nel 1554-1555 circa e costruita negli anni 1556-1563 su commissione di Francesco Badoèr, è la prima villa in cui Palladio utilizzò pienamente un pronao con frontone in facciata, nonché l'unica realizzata in territorio polesano. Le sale del piano nobile sono finemente decorate dagli affreschi a grottesche del Giallo Fiorentino, un misterioso pittore la cui identità è dibattuta.
    La presenza dello stemma di alleanza tra le due famiglie Badoer-Loredan nella decorazione pittorica resta a testimonianza del loro sodalizio, che si può considerare alle origini delle vicende che portarono alla costruzione della villa.
    Le eleganti barchesse curvilinee sono le uniche veramente realizzate da Palladio fra le molte da lui progettate: la loroforma — scrive lo stesso Palladio — richiama braccia aperte ad accogliere i visitatori. Nelle barchesse Palladio usa l'ordine tuscanico, adeguato alla loro funzione e alla possibilità di realizzare intercolumni molto ampi che non intralcino l'accesso dei carri. La loggia della villa mostra invece un elegante ordine ionico a enfatizzare il ruolo di residenza padronale.
    Le immagini che affrescano le pareti della villa rappresentano tematiche mitologiche e allegoriche talora legate al territorio e alla committenza, assieme a grottesche, nicchie, festoni, figurette, erbaggi e frutta, di squisita finezza ma in generale di non facile interpretazione, appartenenti a una pittura singolare e accurata, priva di concezioni artistiche d'alto livello ma dotata di carattere, ricercatezza e raffinata tecnica esecutiva.
    La barchessa di destra ospita il Museo archeologico nazionale di Fratta Polesine, che fa anche da biglietteria per la villa. Le soffitte della villa ospitano esposizioni temporanee.
    Villa Badoer su Wikipedia Villa Badoer (Q2031664) su Wikidata
  • Villa Molin - Avezzù (Villa della carboneria). La presenza, vicinissima, della stupenda palladiana Badoera ha certamente ispirato l'ignoto architetto che, riguardando sempre al Palladio, ma soprattutto a quello di una realizzazione più lontana, la Malcontenta, ha tracciato questo piacevole, dignitosissimo edificio che arricchisce Fratta, uno degli angoli più suggestivi del Polesine. In esso la Badoera è la incontrastata protagonista che tuttavia riesce a realizzarsi compiutamente anche attraverso le altre presenze che la contornano: l'armonica piazza di fronte e Villa Grimani Molin da un lato. Nelle mappe del Catasto veneto del 1775, la proprietà di Villa Molin risulta essere del nobil uomo Giovanni Francesco Correr. Nel complesso si nota un netto distacco fra la corte signorile e la corte di lavoro. Nella prima spicca l'edificio padronale con due barchesse ai lati, disposte separate e ad esso ortogonali. A differenza della vicina Villa Badoer, orientata in senso est-ovest, la casa dominicale di Villa Molin è orientata in senso nord-sud, come è consueto per gli insediamenti in villa. Non comprimaria quest'ultima, dunque, ma piuttosto componente attiva e determinante di un insieme che nella sua sintesi raccolta trova pochi confronti nel Veneto. Il nesso, tra le due ville vicine, pare ritrovare una spiegazione anche nelle affinità di certe decorazioni interne che concordemente la critica attribuisce alla medesima scuola. Gli affreschi dell'interno, attribuiti per lungo tempo allo stesso Giallo Fiorentino, sono invece opera di Anonimo Grimani, della cerchia artistica di Giuseppe Porta Salviati, cui apparteneva anche il Giallo Fiorentino, che operò nella Villa Badoer. Committente dell'opera è Andrea da Molin, genero del Grimani. I temi dipinti si ispirano a soggetti già proposti dal Veronese.
  • Villa Oroboni (Villa della Carboneria). Questa Villa sembrerebbe stilisticamente risalire al primo settecento (o all'ultimo seicento) e presenta uno sviluppo asimmetrico per il mancato completamento della sua parte ad occidente. Possiede due facciate pressoché identiche, con un'unica differenza e cioè che quella a mezzogiorno è ravvivata anche da un balcone, cui sul lato settentrionale corrisponde una semplice finestra. Una cornice a dentelli orna i timpani superiori e scorre lungo il sottotetto, al di sopra delle finestre ovali dei granai. Si accede al piano superiore con una scala a forbice che si divide dopo la prima rampa. All'altezza delle finestre del primo piano sono ancora visibili due stemmi comitali in cui è possibile scorgere la traccia di una cicogna e di un angelo (matrimonio Oroboni-Angeli). La villa è nota per la tragica vicenda del conte Antonio Fortunato Oroboni, patriota carbonaro, arrestato il 12 dicembre 1818 e morto allo Spielberg. La villa è in fase di prossimo restauro.
  • Palazzetto Villa, Cornoldi – Fanan (Villa della Carboneria). La costruzione sembra poter risalire al primo settecento. La proprietà è all'epoca del notaio Francesco Villa, come testimoniano gli stucchi della sala superiore che ne riprendono l'insegna, contraddistinta da una torretta con ai lati le iniziali F e V, sormontata da una bandiera con la lettera N. Il dato appare confermato dal Catastico veneto del 1775. Il complesso è costituito dall'edificio dominicale e da una barchessa separata, posta perpendicolarmente ad esso, lungo il Valdentro. La porzione di terreno compresa fra le due costruzioni è ora adibita a giardino. Il complesso è cinto da un muro. Agli inizi del secolo XIX, la villa è più volte stata teatro di riunioni Carbonare, tanto che il 12 dicembre 1818 vi viene arrestato Antonio Villa, nipote di Francesco, carbonaro polesano, morto allo Spielberg con il suo concittadino e amico Antonio Oroboni. Nel Palazzetto, di recente splendidamente restaurato, si trova un'importante collezione musicale privata.
  • Villa Monti – Viaro (Villa della Carboneria). Le caratteristiche architettoniche di Palazzo Lippomanno Monti permettono di farne risalire la costruzione al XVIII secolo. Tuttavia altre fonti daterebbero la costruzione dell'edificio alla prima metà del seicento, su commissione della famiglia Labia. Il complesso sorge e si articola all'angolo fra due strade che confluiscono in uno slargo, dove si affaccia la chiesa parrocchiale di Fratta. L'edificio si compone di un corpo centrale elevato su tre piani, con copertura a padiglione, e di due ali curve che abbracciano il piccolo cortile a formare un emiciclo. Nel Catasto austriaco del 1852 la casa è proprietà di Giovanni Monti, livellario del nobile Gaspare Lippomano; il rustico, invece, è proprietà del fratello Giacomo, anch'esso livellario del medesimo Lippomano. I fratelli Monti erano entrambi affiliati alla Carboneria. Il pronipote, il capitano pilota e calciatore Giovanni Monti, nacque in questo palazzo nel gennaio del 1900.
  • Villa David – Franchin (Villa della Carboneria). Il complesso è composto di tre fabbricati disposti in linea: la casa dominicale, il piccolo oratorio e la barchessa. Separato è presente un piccolo rustico dai caratteri neogotici. L'edificio padronale è leggermente arretrato rispetto alla strada, sulla quale è rivolto il fronte principale; sul retro si stende un piccolo parco, nel quale sono presenti delle statue ed un pozzo, circondato da un fossato, che nel lato est segna il confine con Villa Oroboni. Semenzato ne ipotizza un'origine seicentesca, rilevabile da elementi tra i quali spicca una trifora, composta da tre portali a tutto sesto, che si apre centralmente, al piano nobile. L'edificio pare aver subito dei rimaneggiamenti durante l'Ottocento. Nel Catastico veneto del 1775 il complesso risulta proprietà di Domenico Vincenzo Davì e dei suoi fratelli. Nel 1852, in base al Catasto austriaco, appartiene ancora alla famiglia Davì. Nelle mappe del Catasto austriaco del 1852 l'edificato appare composto dalla casa padronale, dalla cappella e dalla barchessa, allineate lungo il fronte meridionale. Ora la Villa appartiene alla famiglia Guzzon - Zanobbi.
  • Villa e Parco Labia. La villa viene edificata probabilmente nel luogo dove sorgeva il palazzo dei procuratori di San Marco, che gestivano il "retratto della Frattesina", una vasta area a sud-est di Fratta, bonificata dagli Estensi e passata alla Serenissima Repubblica dopo la pace di Bagnolo del 1484. "La Frattesina" viene venduta 170 anni dopo alla famiglia Labia, per 180.000 ducati, per far fronte alle ingenti spese militari che Venezia si trova a sostenere nella guerra contro i Turchi. Del notevole complesso settecentesco di Villa Labia rimangono oggi solamente la chiesetta e parte del grande giardino. La casa settecentesca, colpita da un bombardamento nel 1945, viene abbattuta l'anno successivo, per essere ricostruita, nel 1956 secondo modi settecenteschi, ma con una conformazione abbastanza diversa dalla precedente. L'antico assetto è documentato da una fotografia del 1901. Il parco ottocentesco di villa Labia, di gusto romantico, presumibilmente progettato da Osvaldo Paletti, fu realizzato a corredo della villa settecentesca. Circondato da un muro di cinta, si estende per una superficie di circa 15.000 metri quadrati. Al suo interno si trovano alcuni alberi rari e due ghiacciaie, oltre a un canale sotterraneo, proveniente dallo Scortico, che sfocia in un laghetto. Il fronte principale della casa padronale, rivolto verso ovest, si affaccia sulla strada che, provenendo dal centro di Fratta, si dirige verso la SS 434 Transpolesana. L'edificio è separato dalla strada dall'imponente muro di cinta provvisto di inferriate e cancelli in ferro battuto, realizzato probabilmente nel '900. La villa, appartenuta originariamente ai conti Labia e, nel 1775, ad Anzolo Maria Labia, diviene proprietà comunale nel 1972 ed è ora adibita a sede della scuola media statale "A. Palladio".
  • Palazzo Campanari (Sede comunale). Villa Campanari appare nelle mappe del Catastico veneto del 1775, dove è raffigurata la casa dominicale, posta lungo la strada che costeggia l'argine destro del fiume Scortico. La proprietà è assegnata a Domenico Campanari ben oltre il 1852. L'edificio è formato da un massiccio corpo centrale sviluppato su tre piani e da due ali laterali più basse poste in linea con il fronte orientale e arretrate rispetto a quello occidentale. L'accesso al piano rialzato è consentito da una scala esterna a due bracci. La facciata principale è coronata da un frontone semicircolare enfatizzato da un aggetto della muratura del corpo centrale. Al centro della facciata si sovrappongono tre portali ad arco. All'interno, nel corso degli anni, i caratteri originari dell'edificio sono andati completamente perduti a seguito di vari lavori di ristrutturazione effettuati per adattare la dimora a sede municipale. Oltre alla casa dominicale, si trovano sul retro, nel cortile interno, un deposito ed una barchessa che una volta fungevano da magazzino e da abitazione per i coloni.
  • Palazzo Grindati – Boniotti (Manegium). La casa padronale, di forma allungata, si eleva su tre piani dei quali l'ultimo sottotetto, destinato in origine a granaio. L'assetto planimetrico è quadripartito, con una sala passante spostata verso ovest, rispetto al centro dell'edificio. La facciata meridionale è rivolta verso lo scolo Valdentro, mentre quella settentrionale prospetta verso il cortiletto interno. La villa presenta caratteri tali da ricondurne la costruzione al XVI secolo o, comunque, una sua radicale trasformazione, al XVIII secolo, con successivi rimaneggiamenti nel XIX secolo (F.B.). Il fabbricato è stato oggetto di donazione da parte degli eredi Boniotti verso il Gruppo culturale e di ricerca "II Manegium", gruppo di volontariato Onlus che si occupa di ricerche storiche, artistiche, archeologiche ed etnografiche nell'ambito del territorio in antico chiamato appunto "Manegium". Nel Palazzo, completamente restaurato, trovano ora sede definitiva: il Museo Etnografico sulla civiltà del lavoro in Polesine; una mostra storico-documentaria sulla Carboneria polesana; una mostra storico-documentaria su Giacomo Matteotti; una mostra sulla religiosità popolare; una raccolta di animali e di uccelli imbalsamati.
  • Villa Dolfin (Casa Divina Provvidenza). Situata nel centro del paese, è composta da una casa dominicale con le due ali simmetriche e due cappelle gemelle. Censita nel Catastico veneto del 1775, Villa Dolfin è esempio di struttura architettonica del 1700 dall'elegante facciata suddivisa in tre piani con imponente scalinata d'accesso al piano nobile e il tipico abbaino con timpano neoclassico che slancia la mole dell'edificio. La stessa accura tezza di finiture della facciata principale si riscontrano anche in quella posteriore, in quanto la villa era fornita di un accesso posteriore dato dal canale Valdentro dell'epoca navigabile. A questa si aggiungono una serie di edifici moderni, una chiesa dedicata alla Sacra Famiglia, e altri edifici di servizio, che hanno subito nel corso del tempo profonde ristrutturazioni. La casa è un centro per persone diversamente abili e casa di riposo. Il centro venne fondato dal santo Luigi Guanella nel 1900. Egli comperò villa e fondo di 73.000 m², dei conti Dolfin. La sua conduzione è affidata, alle suore guanelliane, coadiuvate nelle mansioni quotidiane da personale laico con diverse professionalità. La vita, delle ospiti, si alterna tra momenti trascorsi nei gruppi famiglia e attività riabilitative, secondo gli insegnamenti spirituali e pedagogici del fondatore.
  • Palazzo Lippomano. Palazzo Lippomano (secolo XVII. - XVIII.) rappresenta il cuore di Fratta Polesine. Sia perché situato in pieno centro storico di fronte alle splendide ville Molin Avezzù e Badoer, sia perché all'interno dei suoi portici si trovano diverse attività commerciali. La famiglia che ha dato il nome a questo edificio era di origine ebraica, arrivata a Venezia fra il 1378 e il 1380. Da una mappa storica del 1557 si ipotizza l'esistenza a Fratta del palazzo. Una più sicura identificazione del palazzo, si trova nei catasti veneziani del 1775, con proprietario Gasparo Lippomano. Lo stabile, di assoluto pregio architettonico, ha un piano interrato, due piani fuori terra e un sottotetto, è caratterizzato da un corpo centrale che si conclude a timpano. La forma è quella dei tipici palazzi veneti. Nel tempo sono state aggiunte due ali al corpo centrale, collegate da una loggia porticata, sormontata da balaustra con sculture in cotto di gusto rococò. Il porticato ha assunto le forme attuali intorno al 1856. In un dispaccio del 1621 al doge di Venezia e una documentazione archivistica, dimostrano la presenza di una caffetteria sui locali del piano terra già a partire dagli inizi del XIX. secolo. All'inizio si chiamava San Marco, poi Caffè La Fenice e dal 1896 con l'avvento della famiglia Matteotti prese il nome di Caffè Commercio. Fu in questo bar che giunse il biliardo ancora prima che a Rovigo.
  • 45.0320111.6413584 Museo etnografico della civiltà e del lavoro in Polesine. Il Museo del Manegium e Centro di Documentazione della Civiltà e del Lavoro nel Polesine si distingue per il contributo che porta alla salvaguardia e alla trasmissione alle generazione future della testimonianza di un passato che ci appartiene. Esso è articolato in diverse sezioni: una mostra documentaria sulla carboneria locale e sulla figura di Giacomo Matteotti, un’ampia collezione di immagini sacre di devozione popolare e una ricca sezione etnografica con ricostruzione degli ambienti tipici delle antiche case contadine. Museo etnografico della civiltà e del lavoro in Polesine su Wikipedia Museo etnografico della civiltà e del lavoro in Polesine (Q55359253) su Wikidata
  • 45.03042211.6407525 Museo archeologico nazionale di Fratta Polesine, . Il Museo rappresenta il punto di arrivo di oltre quarant'anni di ricerche nel Polesine, la sede che raccoglie le importanti testimonianze dei villaggi della tarda età del bronzo sorti lungo l'antico corso del Po. Il nucleo principale dell'esposizione è costituito dai ritrovamenti di un complesso archeologico oggi ritenuto fra i più rappresentativi a livello europeo per l'età del bronzo finale (XII - X secolo a.C.), quelli del villaggio di Frattesina e delle sue necropoli, individuate nelle località Narde e Fondo Zanotto. Museo archeologico nazionale di Fratta Polesine su Wikipedia Museo archeologico nazionale (Q3867713) su Wikidata
  • 45.03270611.6414476 Casa - Museo Giacomo Matteotti. Edificio, di origine probabilmente settecentesca, sembra aver subito alterazioni e aggiunte soprattutto durante un rimaneggiamento dell'Ottocento e del 1933. È la casa dove è sempre vissuto il deputato socialista Giacomo Matteotti, ucciso per aver denunciato i brogli elettorali che portarono al potere il partito fascista nelle elezioni del 1924. Dopo il ritrovamento della salma, in un bosco vicino a Roma, il 15 agosto 1924, i resti di Matteotti furono trasferiti a Fratta e nella sala a pian terreno della villa fu allestita la camera ardente, da dove poi partì il corteo funebre diretto verso il cimitero, il 21 agosto.
    Impreziosita da un suggestivo parco, recentemente restaurata nelle strutture e negli arredi, ospita nei primi due piani le eleganti e sobrie ambientazioni originali, con i ritratti dei membri della famiglia di mano della pittrice veneziana Maria Vinca, e nel sottotetto l’ampia e approfondita sezione documentaria.
    Dal 2018 è riconosciuto Monumento Nazionale dal Presidente della Repubblica ed è stata trasformata in Casa-Museo, aperta al pubblico il sabato e domenica oppure su richiesta. È dotata delle più moderne attrezzature multimediali, che permettono di ripercorrere la vita di Matteotti e di leggere, opportunamente digitalizzati, i suoi scritti giuridici e politici, i suoi discorsi parlamentari e le maggiori testate giornalistiche italiane dei mesi in cui avvennero il delitto e la crisi che ne seguì (giugno- dicembre 1924).
    La Casa-Museo, per lascito testamentario dei figli di Matteotti, è attualmente di proprietà dell'Accademia dei Concordi di Rovigo, che l'ha concessa in uso al Comune di Fratta, il quale si avvale, per la gestione e le attività, di un Comitato Scientifico e di una specifica convenzione con il Dipartimento di Storia dell'Università di Padova.
    Casa museo Giacomo Matteotti su Wikipedia Casa museo Giacomo Matteotti (Q106288090) su Wikidata
  • 45.00434411.6452897 Ecomuseo Mulino al Pizzon. Alla confluenza tra due vie d’acqua, il Canalbianco e lo Scortico, si trova il Mulino al Pizzon, uno dei pochi esempi di mulino terragno ad acqua risalente all’Ottocento. Il complesso, perfettamente conservato e sottoposto ad un attento intervento di restauro, conserva ancora intatti i macchinari per la molitura del grano, la conca di navigazione e il ponte-canale, testimonianza delle prime bonifiche in Polesine nel XIV secolo. Il Mulino oltre ad essere una locanda è Ecomuseo immerso nel verde dell’affascinante paesaggio polesano ed un modello unico di archeologia industriale. Ecomuseo Mulino al Pizzon su Wikipedia Ecomuseo Mulino al Pizzon (Q67147956) su Wikidata

Monumenti

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  • Monumento ai Carbonari della Fratta. Dedicato al ricordo del sacrificio dei Carbonari, nel 1867 venne eretto, primo nel Veneto liberato dagli Austriaci dopo la terza guerra di indipendenza, un monumento opera dello scultore veronese Grazioso Spazzi su disegno di Andrea Provini.
  • Lapide a don Luigi Guanella. Lapide con medaglione in bronzo, opera dello scultore Guido Cremesini (1925).


Eventi e feste

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Cosa fare

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Acquisti

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